di Roberto Marchesini
Parlando di linguaggio verbale, gli abbai e i vocalizzi canini hanno generalmente ovunque lo stesso significato: uno studio congiunto del Politecnico di Madrid e dell’Eötvös Loránd University di Budapest ha mostrato come si possano individuare, con alta percentuale di successo, sesso, età, contesto e caratteristiche individuali di un cane grazie a metodi statistici e computazionali di riconoscimento di pattern applicati al suo abbaio.
Invece, differisce il modo in cui l’essere umano percepisce abbai, ringhi e vocalizzazioni, a seconda delle zone in cui vive. Basta pensare a come vengono traslitterati i suoni e a quanto differiscano le voci onomatopeiche nelle varie lingue: quando dobbiamo mettere per iscritto l’abbaio di un cane, emerge chiara la differenza di percezione delle vocali toniche, e abbiamo così l’italiano bau-bau, l’inglese woof-woof, arf-arf e bow-wow nei libri per l’infanzia (in cui si cerca un addolcimento sia del suono che della grafìa), yap-yap se il cane è cucciolo oppure particolarmente petulante; il francese ouah-ouah, il catalano bub-bub, il castigliano guau-guau, il rumeno ham-ham, l’euskara txau-txau quando il cane è giovane, mentre il tono si abbassa e arrochisce con l’età diventando jau-jau.
Come si nota, l’unico dettaglio su cui tutte le lingue sembrano concordare è che il cane abbaia sempre due volte.
Ma come abbaiano i cani? È vero, come talvolta si legge, che prendano gli accenti delle zone in cui vivono?
Uno studio del Canine Behavior Center in Cumbria ha comparato le registrazioni di messaggi vocali di proprietari di cani e quelle di abbai e vocalizzazioni dei rispettivi cani. La conclusione è stata che sì, i cani modificano il loro abbaio a seconda del contesto in cui vivono, ma non si tratta di assumere un accento regionale, bensì dello sforzo di imitare toni e inflessioni del proprietario.
Un cane che viva con persone facili allo schiamazzo, per esempio, tenderà a diventare più verboso, perché imiterà la verbosità caratterizzante la comunicazione della famiglia in cui vive.
Tale imitazione rientra nel processo di costruzione del legame del branco-famiglia: più forte è questo legame, più simili saranno la voce del proprietario e l’abbaio del cane. Ovviamente le tonalità più gravi e assertive sono quelle più attraenti e più facili da imitare.
L’essere umano, dal canto suo, si è dimostrato in parte capace di ascoltare e interpretare correttamente le vocalizzazioni del cane: le ricerche condotte al proposito hanno mostrato che, in generale, le persone hanno grosse difficoltà ad assegnare un significato corretto ai vari tipi di abbaio, laddove invece tendono a interpretare correttamente gli altri tipi di vocalizzazioni, ed in questo le donne avrebbero un orecchio migliore degli uomini, probabilmente legato alla motivazione epimeletica. In sostanza, si tratta della capacità di riconoscere lo stato emozionale di un individuo appartenente a un’altra specie dalle sue vocalizzazioni e di capire se si trovi uno stato giocoso, di minaccia o di sofferenza e di bisogno di aiuto.
Potranno sembrare scoperte banali, ma sono importanti per contrastare una definizione scorretta di antropomorfizzazione che viene sventolata come vessillo da certi apologeti dell’antropocentrismo che confondono l’autoproiezione umanizzante con la capacità di riconoscere correttamente una certa condizione psico-fisica dell’altro, conspecifico o meno che sia.
Fonti: stories.barkpost.com, petcentric.com, psychologytoday.com, dogs.co.uk, theguardian.com
Immagine di copertina: shutterstock.com