Un filo diretto con l'etologia cognitiva e relazionale

Filosofo, etologo e zooantropologo.
Da oltre vent’anni conduce una ricerca interdisciplinare volta a ridefinire il ruolo degli animali non umani nella nostra società.
Direttore del Centro Studi Filosofia Postumanista e della Scuola di interazione uomo-animale (Siua), è autore di oltre un centinaio di pubblicazioni nel campo della bioetica animale, delle scienze cognitive e della filosofia post-human.
È inoltre direttore della rivista “Animal Studies”, la Rivista Italiana di Zooantropologia (Apeiron).

La perdita di rapporto con le altre specie nel bambino

The child holds a chicken in his hands. Selective focus. nature.

di Roberto Marchesini

Il fascino del mondo animale

E’ un fatto ormai acclarato che i bambini siano affascinati dal mondo degli animali e non è un caso se i grandi interpreti dell’immaginario infantile, soprattutto quando rivestono il ruolo di aiutanti o di interpreti delle varie vicende, abbiano sempre un aspetto zoomorfo. Le sembianze animali sono accattivanti, interessanti e rasserenanti per il bambino, consentendogli di rappresentare le dinamiche sociali e affettive che vive e di includerle all’interno del proprio percorso di crescita. Per questa ragione si utilizzano pupazzi e altri oggetti a forma animale nei primi anni di vita, non solo per richiamare l’interesse dei più piccoli, ma anche per creare affinità, processi di crescita graduale, sviluppo della fantasia e dell’immaginario. Si tratta di peluche, figurini, giocattoli interattivi, tutti rigorosamente animali, proprio in virtù del loro valore di centro d’interesse e di base sicura. 

L’importanza di crescere con un compagno di un’altra specie

Per un ragazzo crescere con un cane o un gatto ha una valenza educativa importante, ovviamente se c’è un genitore in grado di accompagnare questa relazione. La presenza di un animale coinvolge l’iter evolutivo del bambino: se nei primi anni svolge prevalentemente il compito di entità transizionale, in seguito assume il ruolo di ponte tra il giovane e il mondo degli adulti e infine d’intermediario di conoscenza. Anche il gran numero di riferimenti zoologici, che si presentano come protagonisti delle fiabe o personaggi dei fumetti, creano un immaginario infantile fortemente radicato all’interno dell’universo animale. Tuttavia, la sola presenza di questi riferimenti culturali non è sufficiente per sviluppare un immaginario in coerenza alla multiformità della natura.

Una relazione ambivalente

Saremmo portati a credere che da questi riferimenti culturali si possano ottenere dei contenuti utili per la capacità di interagire con la diversità animale, come: 

  1.   modelli di comportamenti adeguati all’interazione con le altre specie 
  2.   processi di socializzazione in grado di creare familiarità
  3. apertura alla multiformità, sviluppo di ricordi e legami affettivi molto solidi con la natura          
    Purtroppo, le cose stanno in tutt’altri termini. Se le prime esperienze del bambino fossero realizzate nel segno dell’incontro concreto, cioè anche in termini di confronto, reciprocità e interattività, il bambino sarebbe guidato nel decentramento utile per mitigare il rischio proiettivo. Al contrario, la mancanza di un rapporto concreto, fa sì che l’eccesso di oggetti e giocattoli, seppur a forma animale, vada a rafforzare le tendenze proiettive del bambino, agendo come specchi su cui lui si riflette.

La mancanza di un incontro biunivoco

Quando l’animale incontrato non è un’alterità, con cui ci si troverebbe a interagire in base a delle reciprocazioni – come comunicare, ingaggiare, giocare, negoziare, incontrarsi, esprimere e leggere le emozioni – ma è un’entità amorfa, come un giocattolo, o una rappresentazione antropomorfa, il fumetto o la fiaba, che reca solo le sembianze dell’animale, questo processo d’incontro-confronto è già inattuato in partenza. Il rapporto con il personaggio della favola o del giocattolo a forma animale, non aiuta il decentramento che, viceversa, sarebbe indispensabile per incontrare la diversità. L’oggetto non mette sotto scacco, non crea l’esperienza problematica dell’incontro con l’alterità, ma addirittura va a incentivare la visione proiettiva, cioè la chiusura del ragazzo in se stesso. 

Antropomorfismo e reificazione

Come un fumetto disneyano non produce un incontro con topi, paperi e cani, ma prospetta delle maschere al di sotto delle quali si riconosce un essere umano, per cui l’esito è semmai un ulteriore distanziamento dalla condizione di alterità di questi animali, un’incentivazione all’antropomorfismo, così il peluche o il giocattolo, nel loro significato oggettuale, accrescono la tendenza a vedere nell’animale una cosa, reificazione, da possedere e da usare come strumento. Queste presenze, in altre parole, non fanno altro che accrescere l’autoreferenzialità del bambino, non creando mai occasioni d’incontro. Se il valore di questo rapporto riguarda proprio la capacità di apertura alla diversità, è evidente che tali esperienze abbiano ben poco a che fare con l’alterità. 

La valenza educativa del rapporto con le altre specie

Non si tratta, infatti, solo di conoscere il fenomeno animale, ma di aprirsi alla diversità, uscire dal pensiero proiettivo ed egoriferito, sviluppare un decentramento. Quelle valenze formative che non solo sottendono al conoscere, ma prima ancora all’apertura mentale e al decentramento, si vengono così a perdere. Questo non significa che gli intermediari culturali siano privi di un loro valore nella crescita del bambino, ma più semplicemente che non possono circoscrivere la sua esperienza con il mondo animale. In altre parole, il problema non è dato dai fumetti, dalle fiabe o dai peluche, ma dalla mancanza di relazioni concrete con le alterità animali. E’ di questa carenza, tipica della nostra società, che dovremmo discutere.

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