Un filo diretto con l'etologia cognitiva e relazionale

Filosofo, etologo e zooantropologo.
Da oltre vent’anni conduce una ricerca interdisciplinare volta a ridefinire il ruolo degli animali non umani nella nostra società.
Direttore del Centro Studi Filosofia Postumanista e della Scuola di interazione uomo-animale (Siua), è autore di oltre un centinaio di pubblicazioni nel campo della bioetica animale, delle scienze cognitive e della filosofia post-human.
È inoltre direttore della rivista “Animal Studies”, la Rivista Italiana di Zooantropologia (Apeiron).

Il comportamento predatorio del gatto

di Roberto Marchesini

Il gatto è un animale carnivoro, la cui funzione di foraggiamento, cioè il modo di procacciarsi l’alimento, è data da attività di perlustrazione in un territorio circoscritto, definito home range, e da comportamenti di agguato e di balzo sulla preda. Egli possiede alcune dotazioni innate utili per questo tipo di espressioni, come: i) una percezione specializzata, sia da un punto di vista uditivo che visivo, di rilevare il movimento a distanza, e degli organi sensoriali molto sensibili, come le vibrisse e i cuscinetti plantari, per cogliere il moto dell’aria e l’onda elastica del terreno; ii) alcune gestalt di rilevamento capaci di orientare l’attenzione come la forma rotondeggiante, il filo perché assomiglia a una coda, i riflessi sia nell’acqua che nell’aria, le piume in movimento, tutti segnali-chiave per l’induzione predatoria; iii) alcune componenti motivazionali che gli rendono appetitive e soddisfacenti alcune attività come il nascondersi, stanare, fare agguati, rincorrere; iv) delle unità espressive, cioè degli atti specifici, dei coreogrammi, cioè degli schemi di movimento, dei display ossia degli atteggiamenti corporei e posturali, utili allo svolgimento delle attività di caccia. 

Innato e appreso

Detto questo, è evidente che raggiungere e afferrare un topo, una lucertola, un uccellino o una pallina non è la stessa cosa, perché ognuna di queste attività richiede competenze differenti, riguardo: dove rinvenire quel target con più facilità, quale immagine di ricerca gli permette di scovarlo, quali comportamenti servono ossia come agire per avere successo, che caratteristiche particolari ha quel target, quali tempistiche si rendono necessarie per compiere le diverse fasi dell’azione. In altre parole, le dotazioni innate rappresentano una sorta di menabò generale da utilizzare, attraverso l’esperienza specifica con i diversi target, per dar luogo a un comportamento specializzato. Il meccanismo di specializzazione si realizza attraverso un processo di apprendimento che prende il nome di assimilazione e accomodamento: in pratica, il gatto utilizza la dotazione innata generica sul target specifico che incontra (assimilazione) dopodiché modifica leggermente ciascuno dei fattori d’espressione – per esempio la gestalt in un’immagine specifica di ricerca o i coreogrammi generici un comportamento di caccia dedicato a quella particolare preda (accomodamento).

Le modalità di caccia del gatto

Il gatto è prima di tutto un carnivoro obbligato, nel senso che non può fare a meno di nutrirsi di carne perché non è in grado di sintetizzare un particolare aminoacido, la taurina, presente nei tessuti animali, per cui sgombriamo il campo dall’idea che il piccolo felino possa diventare vegano. Inoltre, è un cacciatore solitario, a differenza del cane, del lupo o del licaone che cacciano in branco e cooperano durante la caccia, concertandosi e svolgendo ciascuno un ruolo specifico. Il gatto svolge questa attività da solista, anche perché si nutre di piccole prede, verso le quali presenta alcune espressioni venatorie molto specifiche, come: i) stanare una preda da un anfratto; ii) fare un agguato nascondendosi nell’erba; iii) balzare sopra, poggiando prima le zampe posteriori e utilizzando le anteriori per ghermire attraverso le unghie protratte; iv) uncinare verso il basso, per esempio per estrarre un pesce dall’acqua o tirare fuori un topo da un buco; v) arpionare con le zampe anteriori verso l’alto per prendere al volo un uccello; vi) utilizzare le zampe posteriori per dare forti colpi, posizionandosi pancia all’aria, per dilaniare le prede più grandi; vii) utilizzare l’estrema motilità delle dita per trattenere la preda; viii) adoperare le vibrisse per testare il corpo dell’animale e capire in quale punto infliggere il morso utile per spezzare la colonna vertebrale. 

L’apprendimento nel comportamento predatorio

Questi display innati si riscontrano in tutti i gatti, ma la capacità d’inserirli all’interno di uno schema produttivo specifico, che ovviamente varia a seconda della preda e delle condizioni ambientali, dipende dalle esperienze che il gatto ha fatto soprattutto in età giovanile, anche in relazione all’apprendistato particolare ricevuto dalla madre che, come sappiamo, porta ai suoi cuccioli prede tramortite per insegnare loro a prendere confidenza con l’animale che dovranno essere in grado di cacciare. Il gioco predatorio è un’altra fonte di esperienze per il gattino, questo è il motivo per cui non bisogna giocare con il gatto facendogli rincorrere le caviglie, farci fare agguati o utilizzare le mani come target da afferrare e mordere. Infatti, sono proprio le abitudini a trasformare il gatto in un cacciatore specializzato, vale a dire a dirigersi verso particolari target e a imparare a indirizzare su quel bersaglio l’atto predatorio, a preferirlo per mettere in atto quel comportamento e a considerare quell’entità nei termini di obiettivo verso cui scaricare le proprie appetenze predatorie. Volendo giocare con il gatto è, perciò, meglio utilizzare una bacchetta cui legare un filo e con un’oggetto all’estremità oppure adoperare delle palline o altri oggetti che rotolano e fanno rumore. In natura le prede preferite sarebbero costituite dai roditori, essendo un cacciatore crepuscolare, ma la tendenza dell’uomo a far uscire il gatto di giorno lo rende un predatore di uccelli. 

L’impatto ecologico del gatto sulla biodiversità

Tanto si è scritto circa l’impatto sulla fauna ornitologica determinato dal gatto. Senza voler scagionare il gatto va fatta una considerazione – come dire? – più globale. La situazione, infatti, è peggiorata dal fatto che tanto in campagna quanto in città mancano gli alberi e soprattutto le siepi arbustive, rendendo gli uccelli vulnerabili agli agguati del piccolo felino. Il gatto è solo colui che dà il colpo finale a una filiera di distruzione dell’ambiente degli uccelli che vede l’essere umano come unico responsabile. Gli uccelli, infatti, non hanno alberi su cui rifugiarsi, siepi ove nascondersi, luoghi dove potersi riprodurre, risorse per alimentarsi e abbeverarsi. Per di più sono esposti a una quantità impressionante di veleni da pesticidi e erbicidi, che non solo diminuiscono l’entomofauna e le risorse nutritive, ma mettono a repentaglio tutte le fasi della riproduzione di alcune specie, perché alterano la costruzione del nido e lo spessore del guscio, compromettendo la cova e lo svezzamento dei pulli. Il tutto a causa dell’agricoltura industriale che spiana il territorio e lo irrora con ogni tipo di sostanza chimica, che per di più utilizza il liquame, provocando inquinamento delle falde acquifere e dell’aria. Oltre tutto, la tendenza a disperdere molti rifiuti organici ha fatto crescere alcune specie, come cornacchie, ghiandaie, gazze e gabbiani che hanno un ulteriore impatto su altri uccelli, perché si nutrono di pulli e di uova e spesso distruggono i nidi e disturbano la cova.

Attività predatoria durante la giornata

Il comportamento di foraggiamento del gatto si basa, pertanto, nel perlustrare il proprio home range, che potremmo anche definire come ambiente di caccia, attraverso l’osservazione dell’area, esplorazione dei singoli pertugi, predisposizioni di agguati, penetrazione di anfratti per stanare o nascondersi, per poi sviluppare tutta la propria energia cinetica nell’azione predatoria che deve svolgersi secondo la logica di prendere o lasciare. La predazione nel gatto è basata sul sorprendere la preda e raggiungerla in velocità, quindi ritroviamo in lui furtività di approccio, tendenza a fare degli agguati e potenza nello scatto, ma scarsa resistenza. Il suo corpo è, peraltro, modellato proprio per ottenere queste prestazioni: cuscinetti plantari e unghie retrattili per non farsi sentire, muscoli bianchi che sviluppano una grande potenza ma con un limite di durata, organi sensoriali in grado di captare anche i più esili segnali emessi da una preda potenziale. In natura il gatto si nutre di piccole prede e la sua alimentazione si compone di piccoli pasti, circa 15 al giorno. Non dimentichiamo, tuttavia, che il gatto può anche diventare una preda! Per tale motivo tende ad acquattarsi nell’erba alta, a nascondersi dentro dei pertugi, a muoversi prevalentemente al crepuscolo, a reagire velocemente per mettersi in salvo.

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