Un filo diretto con l'etologia cognitiva e relazionale

Filosofo, etologo e zooantropologo.
Da oltre vent’anni conduce una ricerca interdisciplinare volta a ridefinire il ruolo degli animali non umani nella nostra società.
Direttore del Centro Studi Filosofia Postumanista e della Scuola di interazione uomo-animale (Siua), è autore di oltre un centinaio di pubblicazioni nel campo della bioetica animale, delle scienze cognitive e della filosofia post-human.
È inoltre direttore della rivista “Animal Studies”, la Rivista Italiana di Zooantropologia (Apeiron).

Com’è cambiata la relazione con il cane?

La redazione di marchesinietologia.it pubblica in anteprima le prime pagine del nuovo manuale di Roberto Marchesini, Educazione cinofila, un libro necessario per chiunque voglia approfondire la relazione con il proprio cane.

La relazione con il cane ha conosciuto negli ultimi cinquant’anni delle forti trasformazioni, una vera e propria metamorfosi che ha visto nascere nuovi modi di concepire il ruolo del cane all’interno delle dinamiche umane. Facendo una disamina storica su come si è evoluto il rapporto con il cane – a partire dalle prime manifestazione del Paleolitico, per poi definirsi nelle diverse prestazioni che la zootecnia ha messo a punto a partire dalle grandi civiltà postneolitiche – notiamo che questa relazione ha accompagnato gli slittamenti sociali e culturali che si sono avvicendati nel tempo.

Il cane è stato perciò il grande compagno d’avventura dell’essere umano, al punto tale che vi è quasi una contemporaneità tra le prime manifestazioni culturali dell’uomo e la nascita dell’alleanza tra noi e il cane. Si tratta perciò di un sodalizio molto antico, che possiamo definire fondativo nella storia dell’umanità, assai più remoto, parliamo di qualche decina di migliaia di anni, rispetto a tutti gli altri processi di domesticazione, sorti allorché l’uomo è divenuto agricoltore e allevatore.

La relazione con il cane è stata sempre coinvolgente e affiancativa, per cui è scorretto pensare che nei nostri tempi abbia conosciuto una valorizzazione che prima non aveva. A essere sinceri, nella concezione urbana del rapporto, si è perso quello spirito di dipendenza collaborativa che era ancora fortemente radicato nella società rurale: in effetti, il cane ha subito una sorta di diminuzione di ruolo e l’uomo sente meno il suo dipendere dalle prestazioni del cane. Attualmente, c’è stato un indubbio svuotamento di significato nell’attribuzione di affiancamento ausiliario operato dal cane; l’essere umano prova, semmai, una maggiore subordinazione alle macchine. Ciò ha portato a una svalutazione, una perdita cioè di consapevolezza dell’importanza del cane nella condizione umana. L’approccio al cane ha assunto pertanto coloriture pietistiche, con prevalenza degli aspetti tutelativi, piuttosto che essere sostenuto da una vera e propria attribuzione di valore. Ma quando è avvenuta tale trasformazione? Sicuramente il grande salto si è avuto nel passaggio da una cultura rurale, basata sulle prestazioni del cane, a una urbana basata sull’affettività

Oggi questa relazione può essere definita come “affiliativa”, perché, di fatto, comporta l’integrazione del cane all’interno del nucleo di famiglia, con una condivisione degli spazi più intimi – dalla cucina alla camera da letto – e una consuetudine altrettanto continuativa, articolata e profonda.

Non si tratta perciò solo di convivenza o di coabitazione, ma di comunanza nei ritmi e nelle abitudini quotidiane, di penetrazione nella biografia delle persone, d’influenza sulle scelte più importanti della famiglia e persino d’intervento sulle dinamiche di gruppo.

Il cane, membro del gruppo familiare, pone di conseguenza delle necessità educative che prima erano impensabili, perché nella contemporaneità si richiede di favorire una piena integrazione nelle consuetudini più intime e nei rapporti familiari: la cosiddetta sfera privata. Con l’avvento dell’urbanesimo del secondo dopoguerra, il cane progressivamente è entrato pertanto nella dimensione personale, nelle dinamiche del gruppo, nelle strategie di convivenza. E forse l’uomo non ne era del tutto preparato.

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