di Guido Dalla Casa
Un prato di montagna
Ero sdraiato su un prato in salita, a prendere il sole. Di tanto in tanto un leggero soffio di vento mi accarezzava il viso. Ero sveglio/non sveglio. Mi rendevo conto di essere tutt’uno con il prato, le nuvole, il bosco, dal quale sentivo aleggiare gli spiriti degli alberi. Qualche volta riuscivo a sentire gli alberi: sapevo che erano viventi e senzienti, mentre nella civiltà industriale erano considerati risorse, oppure legname, e venivano accettati solo per questo. Vidi alcune galline, di quelle poche che ancora razzolano e beccano per terra: tante altre, laggiù, erano considerate risorse-per-fabbricare-uova e stavano ammassate in capannoni, tutte in fila, immobili. Così crescevano i cosiddetti indici di efficienza, ma molto di più crescevano la sofferenza e la tristezza del mondo. Anche quelle galline erano esseri senzienti, come tutto quanto mi stava attorno.
Forse le sofferenze apportate alla Vita saranno restituite e ci sarà un “ritorno” ad opera delle forze sistemiche, o, se preferite, ad opera del karma.
Perché ero lì? Avevo scelto io, oppure ero destinato ad essere lì? In una logica non-dualistica, la domanda non ha senso: forse mi aveva portato su quel prato il mio karma di quel momento. Non potevo sfuggire alla legge del karma, però lo avevo accumulato con le mie azioni, quindi ero/non ero libero, così come lo erano gli alberi, l’erba, le nuvole, le pecore, e quelle marmotte che avevo sentito fischiare, più in alto. Forse segnalavano che c’era un rapace: il fischio era diverso se indicava un pericolo dal cielo, oppure da terra.
Il terzo escluso
Mentre mi assopivo, “vedevo” il gatto di Schroedinger nel suo scatolone, nella sua condizione di vivo/morto in quell’ora fra la rottura/non rottura della fiala di cianuro e l’apertura dello scatolone da parte dell’”osservatore”. Così, pian piano, mi accorgevo che il principio del terzo escluso (il Tertium non datur) stava volando via, insieme alla logica aristotelica.
A e non-A possono coesistere, quindi anche l’Essere e il Nulla.
Tertium datur: sentivo che tutto si risolve nel vuoto quantistico, che è vuoto/pieno, una Vacuità creativa: così se ne andava allegramente col vento anche la visione atomistica di Democrito e dell’Occidente moderno.
Si può esistere/non esistere contemporaneamente.
Ma se io ero quel prato e quegli alberi, o quelle montagne, non c’è nessun ego separato. Mi stavo consolando per la morte? Se non c’è nessun ego, non c’è niente che muore. Non moriremo perché non siamo mai nati. Questo ego/non-ego è inconsistente, è solo una successione di stati mentali, variabile e impermanente come tutte le cose del mondo.
Galline e marmotte
Anni fa avevo portato lassù una gallina, una padovana ovaiola: per due-tre giorni le altre l’avevano rifiutata, la respingevano, ma poi l’hanno accettata, assegnandole il suo ordine di beccata, proprio come qualunque compagnia di umani. Quella società di galline era notevolmente strutturata, ma lo era ancora di più quella delle marmotte, che sentivo fischiare sulla montagna. Vivevano in una sequenza di cunicoli ben progettata, con diverse uscite, e i posti di sentinella. Del resto i Roditori sono molto consapevoli, come i Primati, e si organizzano piuttosto bene. Ma nel Complesso dei Viventi ci sono “norme da rispettare”: un’aquila ogni mille marmotte, un predatore ogni mille erbivori, oltre tutte le interazioni vitali fra humus, alberi, uccelli, mammiferi, funghi. La situazione quasi-stazionaria si deve mantenere, oppure il Complesso si ammala, anche gravemente. Pensai che nel mondo ci sono 7,4 miliardi di umani, e crescono inesorabilmente di 90 milioni all’anno: non può durare.
Poi mi venne in mente un tempo lontano in cui il rappresentante di una istituzione voleva convincermi, senza appello, che l’uomo ha l’anima”, mentre “gli animali non ce l’hanno”, una colossale scemenza, una posizione insostenibile. Ma, settanta anni dopo, ero qui immerso nell’Anima del Mondo, a sentire una comunione mentale con marmotte, capre, galline, alberi, funghi.
Il dualismo uomo-animale è il più assurdo e insostenibile di tutti i dualismi.
Una montagna asiatica
Pensavo a una giornata fra le montagne dell’Asia, dieci anni prima. Durante un viaggio in Bhutan, la guida locale, un giovane di trent’anni, a una mia domanda sul significato da dare al fatto che la montagna più alta di quella terra (il Chomolhari, di 7400 metri, sulla catena di confine con il Tibet) era considerata “la dimora” di una divinità femminile, mi rispose con un sorriso ma con fermezza: “Chomolhari is a goddess”. Ingenuo incorreggibile occidentale, avevo inconsciamente cercato il dualismo. Quella montagna era una divinità, cioè una mente.
Quel giovane aveva studiato cinque anni a Londra, ma non ci sarebbe mai tornato, stava meglio fra le sue montagne.
Lentamente mi accorsi di avere impiegato molti anni per arrivare a quella specie di animismo-panteismo senza dualismi: la mente è ovunque, tutto è Mente-Energia-Materia, senza opposizioni. Sì, il Chomolhari è una mente, come ogni albero, ogni fungo, ogni ecosistema, ogni torrente, senza confini precisi.
L’animismo è stato il sottofondo di pensiero dell’umanità, e forse anche di scimpanzé, bonobo e oranghi, per milioni di anni, senza bisogno delle “religioni moderne”, quelle “vere” oppure “non-vere”. Ma allora ero credente o ateo? Ancora una volta avevo ripescato un dualismo inutile: forse veniva dall’inconscio? Ma inconscio e coscienza sono una distinzione “occidentale”, un altro dualismo. Finalmente mi venne in mente uno scimpanzé bonobo che mi suggeriva “Allora sei anche tu un fanatico religioso? Ma vieni a saltare con me fra gli alberi della foresta!”
Il ritorno
Per breve tempo avevo captato la Vacuità creativa, il vuoto quantistico, la sunyata del Buddhismo. Ma dovevo rialzarmi, tornare a sentir parlare di economia, di inflazione, di PIL e di Nasdaq? Ah, no, lo avrei evitato il più possibile. Ho pensato al Nasdaq solo perché quella parola è simile al Noshaq, la seconda montagna dell’Hindu Kush. La più alta è il Tirich Mir, salita per la prima volta da Arne Naess, il grande filosofo norvegese, un Maestro per il mio pensiero.
Cominciai a prolungare la mia presenza su quel prato.
Sentii l’aria farsi più fresca e aprii gli occhi: vicino a me stava passando un vecchio, con un enorme gerlo di fieno sulle spalle, che mi chiese se avessi bisogno di qualcosa. Un tempo avrei pensato che la sua era “una vita dura”, mentre salivo con uno zaino altrettanto pesante “per divertimento”: era uno di quelli che non se ne erano andati in città per godersi la vita in una fabbrica, gustare i piaceri della catena di montaggio e vivere in due stanze più servizi, “per un’esistenza più logica, razionale, e civile”.
Iniziai a fare un cenno con la mano, ma il vecchio intuì subito la risposta e si scostò, ridandomi il sole.
Immagine di copertina: Flickr/SebastienToulouse, Soirée au plateau de Lumière
Ingegnere Elettrotecnico, è stato dirigente della distribuzione elettrica presso diverse sedi dell’ENEL dal 1959 al 1997. Attorno al 1970 ha cominciato a sentire un forte interesse per l’ecologia e le filosofie orientali: in questo campo si è poi svolta la sua attività negli ultimi anni.
È docente del Corso di Ecologia Interculturale presso la Scuola Superiore di Filosofia Orientale e Comparativa di Rimini (Università di Urbino).
Insegna Ecologia e Scienze Naturali presso l’UNITRE di Saronno.