Continuo a pensare che gli uccelli abbiano una marcia in più rispetto ai mammiferi, quantunque il nostro antropocentrismo ci porti a costruire una tassonomia ad usum Delphini, vale a dire piegata per compiacere il nostro bisogno di ritenerci al vertice, ponendo i mammiferi al culmine della piramide dei vertebrati.
D’altro canto so che, in una logica strettamente naturalistica, questa mia preferenza non ha senso, giacché ogni animale è ugualmente evoluto avendo percorso lo stesso tragitto temporale. Se la vita sulla Terra ha 3,8 miliardi di anni ogni specie ha avuto una filogenesi, vale a dire una storia evolutiva, pari a questo tempo. Inoltre è scorretto pensare che una categoria di animali sia più evoluta di un’altra, per il semplice motivo che in una visione darwiniana evolvere non significa migliorarsi ma specializzarsi.
E allora? Beh, avere una marcia in più non significa per me essere superiori ma possedere un appeal particolare. Come ho detto, è una questione di sensazioni, è più un sentire che il frutto di un ragionamento, e tuttavia forse non è un caso se l’uomo quando ha dovuto raffigurare gli angeli li ha tratteggiati come uccelli. Volare significa poter guardare dall’alto, sentirsi liberi di fluttuare nello spazio azzerando ogni gravità, ascendere e quindi metaforicamente allontanarsi da tutto ciò che vincola. Ho ritrovato questo incanto nel magnifico documentario di Jacques Perrin Il popolo migratore, che con efficacia descrive per immagini e sonorità quel mélange di sospensione, rarefazione, dinamismo che è il passaggio ad alta quota degli stormi, fenomeno che si fa epifania, come già avevano avvertito i primi uomini che trasformarono l’osservazione degli uccelli in un’operazione mantica.
E non circoscriverei tale ammirazione solo al volo, per quanto si tratti di una condizione che ha ispirato molte dimensioni dell’umano, da quella poetica a quella religiosa. Gli uccelli parlano di levità per diverse strade, attraverso le piume vaporose che li ricoprono disegnando molteplici forme e cromatismi, grazie alle loro ossa cave che permettono posture da yogi e movimenti leggeri, nei gesti coreografici archetipologia di ogni forma di danza, nelle armonie polifoniche che il siringe consente loro in modo contemporaneo a differenza del limite vocale che costringe noi mammiferi a un suono per volta.
Ero rapito dagli uccelli e me ne stavo ore e ore a guardarli implorando mia madre di poterne avere anch’io una coppia. Così iniziò la mia avventura con i canarini, che fecero da battistrada a una passione ornitologica che non è mai terminata.
Foto di copertina: verdone comune (Chloris chloris), Wikimedia Commons
(tratto da Roberto Marchesini, Ricordi di animali, 2013)