Il cane usa la bocca più o meno come noi utilizziamo le mani: afferrare, tenere, spostare, esaminare, esplorare, portare, giocare. Quanti verbi in un solo gesto, quante azioni! Per questo, fin dal primo mese di vita, il cucciolo deve imparare ad adoperare la bocca con estrema competenza, perché non serve solo per mangiare o mordere, ma a un gran numero di altre funzioni per cui è richiesta la competenza della gestione della forza impressa dalla mandibola.
Il gioco con i fratelli è una buona palestra per tale apprendistato prassico – vale a dire di capacità di utilizzare un organo per “manipolare” il mondo – perché quando il cucciolo gioca, stringendo troppo, fa male al fratellino che smette di giocare o si lamenta chiamando la mamma a intervenire. Bastano poche sessioni di questo gioco buccale, che il cane impara a contenerne la forza, instaurandosi così quello che viene definito come “morso controllato” o “inibito”, qualità fondamentale per raggiungere una piena competenza non solo prassica ma anche e soprattutto nella relazione sociale. Se questo non avviene, il cane non sarà in grado di modulare la sua forza mandibolare, con il risultato che, anche durante il gioco, farà male: le persone avranno sbucciature e gli altri cani si rivolteranno. Detto problema è riscontrabile se il cane viene tolto precocemente dalla cucciolata.
Tra le problematiche della deprivazione precoce, la mancanza del morso controllato è forse la più evidente nell’interazione, anche se non la più grave. Occorre pertanto fare di tutto perché il cucciolo trascorra i primi mesi con il genitore e, se questo viene a mancare, poterlo affidare a una balia canina. Devo peraltro sottolineare che l’adozione di cuccioli non propri è un evento che si può ottenere con relativa facilità, perché i cani hanno una vocazione nelle cure parentali da fare invidia a noi esseri umani. I cani arrivano ad adottare cuccioli anche di altre specie e il perché è attribuibile sostanzialmente a tre fattori co-agenti. Il primo è riferibile al fatto che avendo cuccioli molto immaturi – nelle prime due settimane di vita i cuccioli sono a tutti gli effetti dei feti, per cui si parla di esogestazione – hanno inevitabilmente sviluppato, come correlato, una forte disposizione epimeletica (dal greco epimeleomai = mi prendo cura).
La motivazione epimeletica indica la sensibilità che un particolare individuo presenta nei confronti delle richieste di cura profferte da un cucciolo (segnali et-epimeletici), delle forme giovanile (pedomorfie), delle richieste di aiuto, dei bisogni espressi da un compagno. In altre parole, la motivazione epimeletica, che trova la sua giustificazione adattativa all’interno delle cure parentali – in perfetta coerenza con il dettato di fitness darwiniano – predispone il soggetto a esprimere comportamenti di cura e di aiuto perché fortemente richiamanti e perché gratificanti: cosa che accade per ogni espressione che si fondi su base motivazionale. L’epimelesi non solo indica quanto un individuo sia coinvolgibile da una richiesta di cura – la sensibilità – ma altresì quanta disponibilità, in termini di accuratezza, sollecitudine, tempo dedicato, competenza metta nel dare cure a chi in qualche modo le richiede. Indubbiamente tale disponibilità viene accresciuta e migliorata con l’esperienza e, tuttavia, è indubbio che esistono delle predisposizioni (doti naturali) che non vanno sottaciute e che caratterizzano certi cani. Il perché è presto detto. Se una motivazione è forte non solo l’attività da lei presieduta sarà più gratificante, oltre che maggiore sarà la sensibilità al richiamo, ma altresì perdurerà più a lungo, poiché l’appagamento – vale a dire la sazietà nell’espressione di un certo comportamento – richiederà più tempo espressivo.
Tutto coerente con il prendersi cura di un proprio cucciolo, ma perché adottare un eterospecifico? Per rispondere al quesito, voglio affrontare il secondo fattore, vale a dire la presenza di caratteristiche comuni transpecifiche nella definizione delle forme giovanili, aspetto già messo in luce da Konrad Lorenz. I cuccioli di mammiferi presentano tutti delle caratteristiche comuni, definite come pedomorfie, quali: la voluminosità della testa rispetto al corpo, il maggior sviluppo del frontale e del neurocranio rispetto allo splacnocranio, aspetto che dà una conformazione sferica alla testa, il mantello vaporoso, gli occhi grandi e lucidi, le zampette corte, la prevalenza di richiami acuti. Queste caratteristiche comuni o “universali pedomorfici” fanno sì che un cucciolo possa essere adottato, con maternaggio e tutto quanto ne segue, da una femmina di un’altra specie. Il mio cane Pimpa, ad esempio, aveva adottato la mia maialina Giuditta e si comportava a tutti gli effetti da mamma premurosa ed educativa, per esempio cercando di mostrarle come si doveva risolvere il problem solving. Giuditta però non voleva imparare: per lei la coppetta andava spostata con il naso e così pure i tasselli e io mi divertivo a osservare come due specie differenti affrontavano diversamente lo stesso problema.
D’altro canto anche la particolare declinazione sociale di una specie entra quale fattore che influenza il modo di affrontare l’espressione epimeletica all’interno della popolazione. Comportamenti epimeletici realizzati fuori dal contesto parentale si notano nei delfini, negli elefanti, negli scimpanzé e nei lupi, solo per fare qualche esempio, e come si può vedere si tratta di animali che nello stare in gruppo collaborano attivamente tra loro. Indubbiamente anche l’essere umano ha una forte predisposizione epimeletica, riconducibile alla dimensione parentale – cucciolo immaturo e lungo periodo di età evolutiva – e alla dimensione sociale, in qualche modo sovrapponibile a quella del lupo. Questo peraltro spiega i tanti casi di adozione reciproca avvenuti nelle diverse epoche storiche e che hanno dato avvio a quella meravigliosa storia co-evolutiva che oggi chiamiamo relazione con il cane. La disposizione epimeletica, in stretta sinergia con quella collaborativa e con la particolare struttura sociale del cane ci permette di capire le tante manifestazioni di solidarietà e altruismo che sono riportate dalle cronache e che hanno dato al cane la patente di fedeltà e di miglior amico dell’umano.